Il vescovo alla Messa del Crisma: «La fede è andare incontro al futuro»

Dalla piccola Cattedrale di Rieti il pensiero, alla vigilia del Triduo pasquale, corre alla grande Cattedrale parigina tristemente balzata alle cronache proprio all’inizio della Settimana Santa. Ha voluto citarla, la Notre-Dame tragicamente colpita dal fuoco, il vescovo Domenico, nell’omelia della celebrazione che raccoglie nella chiesa madre l’intero presbiterio con religiosi, religiose e fedeli provenienti da tutto il territorio diocesano.

Dinanzi alla nutrita assemblea che riempie le navate di Santa Maria per la Messa crismale, il riferimento alla basilica francese danneggiata dalle fiamme monsignor Pompili lo coglie nel commentare il brano evangelico appena proclamato: quello di Gesù che, nella sinagoga della sua Nazaret, legge – e applica poi a sé stesso – il rotolo del profeta Isaia sull’«unto del Padre». Partendo da quel tornare al luogo “dove era cresciuto” del figlio di Maria e Giuseppe: un ritorno a casa, commenta il vescovo, che «ha il suo fascino, ma comporta anche un rischio. Il fascino è immaginare di ritrovare esattamente quel che si è lasciato. Il rischio è che le persone nel frattempo non siano più le stesse». Proprio questo accade «a quelli di Nazareth che non si accorgono di come è cambiato Gesù che pure avevano visto crescere».

Un errore che spesso commettiamo anche noi, e cioè «valutare il presente, in base al passato. Mentre il presente va compreso spingendosi in avanti. Per questo non basta attendere il futuro. Bisogna andargli incontro. Questa, anzi, è la fede: andare incontro al futuro. Il che è un’avventura mai compiuta e non soltanto un “deposito” da “custodire”». Ed ecco qui il riferimento di don Domenico a Notre-Dame, che «sarà ricostruita, ma quello che è stato un disastro può diventare un nuovo inizio». E questo offre lo spunto per un paragone con la Chiesa in generale, e nello specifico quella reatina, che «sembra in certi momenti come “terremotata”. Non è però la fine, ma solo un inizio che reclama nuova vitalità».

L’omelia di monsignore prosegue attirando l’attenzione sulla sequenza dei gesti compiuti dal Cristo dopo aver letto il passo del profeta, sequenza «solenne e, al tempo stesso, familiare». Il racconto dell’evangelista Luca, infatti, evidenzia che «Gesù prima legge e poi siede. Stare seduti non è solo un segno di prossimità, ma anche di equilibrio. Gesù è stato un camminatore, ma sempre paziente e mite. Non si limita ad annunciare e a compiere segni portentosi, ma sta con la gente per aiutarla a discernere e a decidersi». C’entra questo qualcosa con noi, e in particolare con coloro, i sacerdoti, cui la Messa crismale è particolarmente dedicata? Pompili in questo “saper sedersi” del pur dinamico Cristo coglie un insegnamento: «Il ministero pastorale oggi deve essere dinamico e non statico certamente, ma senza perdere la capacità di “stare con” perché maturino scelte coraggiose e controcorrente. Senza l’abituale capacità di ascolto e di incontro, non si pensi di guidare o di orientare gli altri». Infatti a chi è pastore di anime «è richiesta l’autorità: non quella del controllore beninteso, ma di colui che “fa crescere” l’altro. Come una madre che rischia e soffre per la libertà del figlio perché soltanto così crescerà sul serio».

Infine, la frase pronunciata da Gesù che scatena il putiferio fra i suoi compaesani: Quell’«Oggi si è adempiuta questa Scrittura» con cui egli si presenta come colui nel quale Dio opera, ed proprio «questa concretezza ciò che suscita la reazione violenta», commenta monsignore: e questo perché «finché la fede si limita ad essere un sentimento interiore non c’è nessun problema, ma quando pretende di entrare nella storia, di chiamare a conversione, subito si alzano le barricate. Senza questa concretezza però Gesù Cristo rischia di essere un’evasione per anime belle. Soltanto quando Cristo si trasforma in liberazione per sé e per gli altri si diffonde un alito di vita. Solo quando la Chiesa fa promozione umana allora evangelizza veramente».

Diventa questo l’augurio alla comunità diocesana che si appresta a rivivere la Pasqua, e in particolare al presbiterio che, subito dopo, esprime l’annuale conferma del proprio impegno nel sacerdozio. Con un pensiero a chi non c’è più: prima di chiedere il rinnovo delle promesse sacerdotali, il vescovo Domenico ricorda i preti defunti nell’ultimo anno – don Fausto Alvisini, don Mario Laureti, don Mauro Mannetti, padre Anavio Pendenza, don Sesto Vulpiani – e un pensiero particolare, a fine Messa, lo rivolgerà anche a don Angel Bell, il giovane prete peruviano della Famiglia dei Discepoli di don Minozzi da settembre alla guida della parrocchia di Amatrice, che ha pregato il presule di portare a tutti il suo saluto dal letto d’ospedale. Non manca anche un augurio per quanti, nel 2019, festeggiano il “sacerdozio d’argento”, compiendo 25 anni di ministero presbiterale: padre John Ukaiakuma dei religiosi nigeriani, il parroco di San Martino e Offeio don Victor Arockiaswamy Ray, don Tommaso Bonomelli, il cappuccino di San Mauro padre Luca Genovese, don Zaccaria Kongo Shamba, i padri indiani Mathew Panackal Raju e Denny Thakidyl, il vice parroco di Vazia don Jean-Louis Swenke.

Rinnovate le promesse sacerdotali, giunge il momento tipico di questa celebrazione che fa da cerniera fra tempo quaresimale e pasquale: la benedizione degli oli. Sono i diaconi a presentare le ampolle contenente l’olio degli infermi e quello dei catecumeni, e poi il più importante: quello che Pompili mescola con il balsamo profumato, insufflando prima di pronunciare – accompagnato dall’imposizione delle mani di tutti i concelebranti – la preghiera con cui si consacra il crisma destinato, insieme agli altri due santi Oli, a tutte le parrocchie.

Il testo dell’omelia