Il sorriso di san Felice è radicato nelle parole di Gesù

«Non siate in ansia per la vostra vita, per ciò che mangerete, né per il vostro corpo, come lo vestirete. Perché la vita vale più del nutrimento e il corpo più del vestito». È a partire dal brano di Matteo che il vescovo Domenico si è rivolto ai fedeli in occasione della solennità di san Felice da Cantalice, secondo patrono della Diocesi di Rieti. Una giornata di festa celebrata nella chiesa del paese in coincidenza della riapertura delle Messe con il popolo, in un’atmosfera quasi surreale: guanti per il celebrante, fedeli distanziati, mascherine e chiesa igienizzata al termine della liturgia. Prescrizioni adottate in ogni parrocchia a partire da oggi, con la ripresa delle celebrazioni con il popolo.

«Gesù fa capire così ai suoi che è stolto affannarsi per la vita, sulla quale l’uomo non ha potere», ha spiegato monsignor Pompili. «Ce ne siamo resi conto in questi mesi di pandemia: all’improvviso abbiamo riscoperto l’essenziale, che consisteva nel “salvare la pelle” e non dipendeva da noi. Per contro, siamo spesso ossessionati da quel che è superfluo».

E proprio su questo si innesta la lezione di san Felice, che aveva capito «la sapienza di tenere sotto controllo le preoccupazioni per vivere tranquilli e in pace». Non ci fu giorno che il cappuccino, nato a Cantalice il 18 maggio 1513, non facesse la questua in giro per la città, ma neppure un giorno senza il sorriso sulle labbra. Un’ilarità che traspariva dal volto in modo da «renderlo immediatamente popolare tra la gente e assai ricercato tra le alte sfere della Chiesa». Il vescovo ha ricondotto questo tratto felice del santo alla «sicurezza» che nasceva «da uno sguardo diverso», figlio delle parole del Maestro:

Osservate i corvi: non seminano né mietono, non hanno dispensa né granaio, eppure Dio li nutre. Quanto più degli uccelli valete voi! Chi di voi, per quanto si affanni, può prolungare di un poco la propria vita? Se dunque, voi non potete fare neppure il minimo, perché vi affannate per il resto? Osservate come crescono i gigli: non filano, né tessono; eppure vi dico che nemmeno Salomone in tutto il suo splendore fu mai vestito come uno di essi. Ora, se Dio veste così l’erba che oggi è nel campo e domani viene gettata nel fuoco, quanto più voi, gente di poca fede!.

Quelle che parrebbero «parole poetiche, sul genere hippy, tanto seducenti quanto inconcludenti», in realtà sono un insegnamento a cambiare il nostro sguardo sulla realtà: «contemplare e non soltanto manipolare. Noi vediamo la realtà solo a partire dalla smania di possedere e perdiamo di vista l’essenziale».

Che poi è quello che aggiunge subito dopo Gesù: «Cercate piuttosto il regno di Dio, e queste cose vi saranno date in aggiunta!». In questa prospettiva don Domenico ha individuato «il punto di forza della fede cristiana»: un qualcosa che va oltre la ricerca dell’essenziale e lo stare al concreto. «Vuol dire anche andare incontro a ciò che è importante e cioè il Regno di Dio che investe anche la qualità dei rapporti tra di noi, la giustizia e la responsabilità nei confronti dell’ambiente. Se non si cerca Dio si cerca solo Mammona. E qui c’è tutto il dramma dell’uomo che quando perde Dio finisce per perdere di vista anche l’umanità».

In questo tempo inedito di crisi, ripensare la figura di San Felice risuona allora come un appello a resistere rivolgendosi a , «la cui provvidenza è sempre meglio dell’ossessiva preoccupazione. Accadrà che “a ciascun giorno basta la sua pena».