Il saluto al “seme buono” don Fausto Alvisini

Nuovo lutto nel clero reatino. A una settimana da don Mario Laureti, anche don Fausto Alvisini è stato chiamato alla liturgia del cielo. Portando, sull’altare di Dio, un’offerta significativa del suo ministero di sofferenza. Don Fausto, ormai quiescente e infermo da diverso tempo, ha infatti trascorso gli ultimi anni del suo sacerdozio unendosi al mistero di Cristo crocifisso, facendosi in questo “seme buono”, ha detto monsignor Pompili nel presiedere, in Cattedrale (del cui Capitolo faceva parte come canonico), la Messa esequiale, concelebrata con i vescovi emeriti Lucarelli e Chiarinelli e diversi presbiteri.

Don Fausto, nativo di Baccarecce, piccola frazione del comune di Pescorocchiano, ordinato prete nel 1959, aveva iniziato a servire la Chiesa reatina in quel di Scai. Qui era rimasto fino al 1991, accompagnando al sacerdozio don Bruno Piovesan, l’eremita fra Liberato che custodiva il santuario di Varoni, sopra il paese, che dopo tanti anni di diaconato veniva ordinato prete da monsignor Molinari e gli succedeva alla guida della parrocchia del lembo più basso della conca amatriciana. Gli veniva quindi affidata la parrocchia di San Martino, Offeio e Concerviano, dove ha servito Dio finché le forze glielo hanno concesso. I postumi di un incidente subito lo avevano sempre più provato, e finché ha potuto veniva accompagnato a celebrare Messa dalle suore del convitto San Paolo; poi, bloccato nella sua infermità, costretto in casa, amorevolmente assistito dai parenti, non aveva mai rinunciato, ha evidenziato il vescovo Domenico, a mantenere i contatti con la comunità diocesana.

L’incidente e la progressiva perdita della capacità fisica non lo ha mai privato di questa comunione: egli, ha voluto evidenziare Pompili, «ha saputo tener testa a un evento negativo, senza malanimo o autocompiacimento masochista. Egli è sempre stato capace, pur nel dolore, di professare la sua fede adamantina e di guardare all’intera Chiesa locale, di cui si sentiva parte viva».

Una lezione di vita, quella di don Alvisini, che «ricalca alla lettera la spiegazione della celebre parabola del grano e della zizzania, di cui Gesù offre la sua spiegazione autentica», ha detto ancora il vescovo in riferimento al brano evangelico e alle parole di Cristo per cui “Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno”. Don Fausto «ha mostrato col suo stile di credere alla vastità del campo della Chiesa che coincide con il mondo, cioè con la ricca e varia umanità senza mai coltivare orticelli particolari e dedicandosi a tutti, senza distinzioni tra vicini e lontani». Si è sempre speso nell’essere «un uomo per gli altri. La zizzania nella sua esistenza, cioè il male nelle sue varie forme, l’ha conosciuto di persona. Ma non è stato mai precipitoso né arrogante. Non ha preteso di distinguere tra buoni e cattivi. È stato fermo sulla sua croce, come per lunghi mesi in ospedale dopo l’incidente, continuando ad informandosi e interessarsi di tutto quello che avveniva, anche quando avrà patito un certo isolamento. Senza mai rivendicazioni o polemiche».

Confidando allora nella promessa del Maestro, «Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro”, vedendo in essa quella « sapienza del Vangelo che invita a valutare le persone e la loro vita, alla luce dell’esito finale e non dei successi presenti», si può essere certi, ha concluso monsignore, «ora risplende non solo al nostro sguardo, ma soprattutto “splende come il sole” davanti a Dio, per la cui ‘maggior gloria’ è vissuto».