Il card Petrocchi al Giugno Antoniano: «I santi sono i capolavori dell’amore di Dio»

«Venerare i santi significa contemplare la bellezza che lo Spirito ha suscitato in loro». Con queste parole l’arcivescovo dell’Aquila, cardinale Petrocchi, ha distillato il fascino che ancora oggi una figura come quella di Fernando Martins de Bulhões, meglio conosciuta come sant’Antonio di Padova. «I santi sono i capolavori dell’amore di Dio», ha sottolineato mons Petrocchi, ricordando che ci rivolgiamo loro perché «sappiamo che la loro intercessione è efficace», che essi hanno «la chiave per aprire il cuore di Dio e attingere al tesoro delle sue grazie».

«Ma se ci fermassimo qui – ha subito avvertito il cardinale – la nostra non sarebbe una devozione autentica». Venerare i santi, infatti, significa impegnarsi ad imitarli. E per riuscire non conviene fare leva sulle caratteristiche specifiche di ciascuno, quanto su ciò che li accomuna: «anche se sono diversi tra di loro, troviamo delle costanti: i santi sono un “sì” detto al Vangelo, fino in fondo. Perciò la parola di Dio spiega la vita dei santi, e la vita dei santi diventa una spiegazione del Vangelo. I santi sono catechesi viventi. In ogni santo ritroviamo la carità segnata dalla Pasqua di Gesù: un amore che sa soffrire, ma che si apre anche alla novità della risurrezione».

Cos’è davvero la santità?

«I santi sono uomini e donne animati dallo Spirito del Signore Gesù, e quindi condotti sulle traiettorie della volontà di Dio». È grazie a questo, ha spiegato ancora l’arcivescovo dell’Aquila, che essi compiono miracoli. A partire da un fatto: «il primo miracolo del santo è il santo», la santità in se stessa. Essa, infatti, «non è alla nostra portata, non è un’impresa che possiamo compiere con le nostre attrezzature. È perché i santi sono abitati dall’onnipotente che compiono cose straordinarie. Ad agire è il Signore che in loro ha trovato spazio».

La vita di Antonio

Un discorso tanto più valido se riferito all’agiografia di sant’Antonio. Chiamato dalla Pia Unione a celebrare la messa nel giorno della festa del santo, mons Petrocchi ha insistito sulla distinzione tra la semplice sensazionalità e la novità di vita che è segno in noi dell’azione della grazia. Se andiamo ad esplorare la storia di Antonio e vediamo cosa possiamo trarre da lui per noi oggi, ne ricaviamo un giovane innamorato della sapienza, dotato di straordinaria intelligenza, di memoria prodigiosa, adatto a studi di alto livello sebbene sempre animato dalla preghiera.

Antonio aveva compiuto il suo percorso in una università prestigiosa, si era distinto per una grande cultura. Ma la sua vita cambia quando nel suo convento arrivano le spoglie di alcuni francescani, primi martiri in Marocco. «Subisce davvero un shock interiore, profondo e decide anche lui di seguire la stessa pista». Ma non è questo il progetto di Dio: una tempesta in mare lo fa approdare sulle coste della Sicilia. E dall’isola parte pellegrino fino a raggiungere Assisi, dove partecipa al Capitolo delle stuoie. Ma nessuno si accorge di lui. Quest’uomo geniale non viene capito e in convento viene utilizzato per i servizi più umili. Un fatto però lo metterà all’attenzione di tutti: c’è da pronunciare una omelia, si ammala il predicatore e nessuno vuole salire sul pulpito. Rimane lui e prende la parola. Incanta e si manifesta come uno dei più grandi oratori del ‘200. Inizia la sua stagione apostolica, compie opere grandi. Insegna e predica in Francia, si rivolge a tutte le popolazioni che incontra e viene considerato una vera benedizione del Signore. Compie dei miracoli. Possiamo «ritrovarli in noi e tra di noi», come segni i segni che, nel momento del commiato dagli apostoli, Gesù associa a quelli che credono. Si possono ritrovare anche in noi, «nella nostra poca fede». E il confronto con Antonio, la possibilità di imitarlo, può essere preso a misura.