Franco Marini, il vescovo: «Una storia politica maturata nella fede»

«Guardare al minimo comun denominatore piuttosto che al massimo comun divisore». È uno dei pensieri di mons Pompili in occasione dei funerali di Franco Marini, che il vescovo di Rieti ha presieduto questa mattina, in forma strettamente privata, nella chiesa romana di San Roberto Bellarmino. Un’intuizione legata alla biografia dell’ex presidente del Senato, dalla quale don Domenico ha ricavato «una importante lezione: non è solo il pubblico che determina il privato, ma anche il privato influisce e determina il pubblico. Abbiamo troppo ideologizzato questa distinzione, fino al punto di creare una netta separazione tra due dimensioni che sono distinte, ma non distanti. Quel che siamo in pubblico è anche l’effetto di quello che siamo in privato perché c’è una correlazione fin troppo evidente tra quello che anima il nostro vissuto quotidiano e quello che ispira la nostra attività pubblica».

Un complesso di cose che «spiega quel carattere di franchezza, di immediatezza, di concretezza che ha fatto del senatore Marini una figura politica sui generis. Arrivando a sfiorare il primo scranno della Repubblica, senza però mai perdere il contatto con l’ultimo della società».

Del resto è quanto competeva al suo essere sempre restato, fondamentalmente, un sindacalista, «cioè il rappresentante di quei lavoratori, spesso vittime predestinate di un sistema economico che affama e poi addirittura colpevolizza». Un sistema economico che contrasta «con la sua esperienza di casa, ma anche dalla sua fede cristiana. È da lì – ha sottolineato il vescovo – che ha maturato quel popolarismo politico che l’ha reso protagonista in una delicata fase di passaggio tra la Prima e la Seconda Repubblica e che è esattamente il contrario di quel populismo che, nella cosiddetta Terza Repubblica, vorrebbe rieditare anacronistiche battaglie identitarie. Franco ci ha lasciati nella tormentata stagione del Covid. L’augurio è che la sua testimonianza di uomo e di credente possa orientare i difficili passi che attendono la nostra comune responsabilità verso i nostri figlioletti, la prossima generazione europea».