Diaconato: «le tre qualità di un servizio»

Primo incontro del vescovo Domenico Pompili con i Diaconi permanenti (18 settembre 2015)

La riscoperta del diaconato permanente dopo il Vaticano II, nonostante i voti già espressi perfino da Trento (canone 17 della XXIII sessione), consente di ritrovare l’articolazione originaria del ministero ordinato. Con la restaurazione del Diaconato permanente lo Spirito Santo offre il dono del ripristino di una struttura sacramentale della Chiesa, la quale, secondo S. Ignazio, non può essere senza vescovi, presbiteri e diaconi, e quindi di una abbondante ricchezza di grazie sacramentali. Il ministero diaconale è, come quello presbiterale, una partecipazione al ministero del vescovo al quale appartiene in pienezza quella diaconia che è finalizzata alla glorificazione del Padre e alla salvezza di tutti gli uomini.

Nasce da questa sommaria consapevolezza l’indicazione di tre qualità in cui si esprime il servizio diaconale. Esse sono: l’ecclesialità, la laicità, la pastoralità.

Sulla ecclesialità del diacono. Se spetta al vescovo determinare con chiarezza l’ufficio ecclesiastico da svolgere, ciò non toglie che questo debba essere vissuto in relazione anzitutto coi presbiteri. Il diacono non è un sostituto del prete, ma offre dei servizi peculiari che solo lui può garantire con ampiezza di tempo e di qualità. Mi riferisco alla predicazione della Parola, ma non primariamente durante la liturgia eucaristica dove la presidenza spetta al celebrante presbitero. Mi riferisco alla liturgia che trova mille forme di espressione e di coltivazione. Mi riferisco ovviamente alla carità che risulta lo specifico di questo compito, sin dalle origini apostoliche.

Sulla laicità del diacono: per quanto complessa sia la questione dell’identità canonica e irrisolta quella del sostentamento, resta vero che il diacono permanente ha nella maggioranza dei casi una famiglia. Questa condizione di vita mette in luce la sua permanente laicità che va vissuta non come un ostacolo, ma semmai come una risorsa. Gesù era un laico e non svolse mai compiti sacerdotali. Ciò nonostante portò ad un profondo ripensamento del culto e della preghiera a partire dalle condizioni concrete di vita.

Sulla pastoralità del diacono: l’arte pastorale è per S. Gregorio Magno “l’arte delle arti” perché suppone una serie di attenzioni e di sensibilità che presuppongono una conoscenza personalizzata delle pecore del gregge. Il diacono si distingue per questa attrezzatura umana e spirituale che lo fa non un cane sciolto né un don Chisciotte contro i mulini a vento, ma come un soggetto di azione pastorale capace di interagire e di far fluidificare le relazioni con tutti, a cominciare dagli altri agenti della vita ecclesiale.

Per cominciare a camminare insieme vi chiedo di segnalarmi quanto fate e vivete nella nostra chiesa per poter poi con ciascuno di voi fare un’opera di discernimento e valutare quanto rilanciare, quanto modificare, quanto evitare.

La preghiera assume ora la forma della gratitudine per la presenza di così numerosi operai nella vigna del Signore, nella speranza che questo dono ministeriale sia sempre meglio compreso evitando gli scogli della indebita clericalizzazione e della ingiustificata marginalizzazione.