Da Fatima a Rieti passando per Leonessa

«O Maria, rivolgi il tuo sguardo alla nostra amata Italia… Invoca con noi il dono dello Spirito Santo su coloro che hanno pubbliche responsabilità… Guarda con benevolenza il popolo italiano… A te, o Vergine Maria di Fatima, affidiamo la nostra nazione». Dall’umbilicus Italiæ si innalza la preghiera per l’intera nazione dinanzi all’effigie della Madonna Pellegrina. La pronuncia, nella gremita chiesa di Regina Pacis, il vescovo Domenico, con la comunità diocesana reatina idealmente unita con tutto il territorio nazionale, nel solenne momento che conclude l’itinerario nazionale che ha visto l’immagine, riproduzione “ufficiale” di quella venerata nel santuario di Fatima, percorrere vari luoghi. Ed è proprio la diocesi del centro d’Italia – confinante con quella di Sabina-Poggio Mirteto in cui ha sede l’organismo che, in collegamento con il santuario portoghese, coordina le missioni mariane nel nostro Paese – ad accogliere, nell’assolato pomeriggio della prima domenica di agosto, la celebrazione di commiato dalla Vergine Pellegrina, dopo la sosta di una settimana a Leonessa.

Nel paese di san Giuseppe

Nella cittadina di san Giuseppe era stata accolta nel pomeriggio piovoso della domenica precedente: malgrado il maltempo, i leonessani erano intervenuti numerosi a Porta Spoletina nel dare il benvenuto, sotto gli ombrelli, alla venerata immagine, poi condotta lungo il corso fino alla chiesa di San Pietro nella piazza, dove monsignor Pompili aveva celebrato la Messa di apertura e dove tutta la settimana è stato un viavai di fedeli, tra le celebrazioni, le catechesi, le veglie di preghiera serali, fino alla processione che sabato sera l’ha condotta per le vie del paese. Poi, l’indomani, il saluto alla statua che, caricata sull’apposito furgoncino, ha viaggiato alla volta di Rieti.

Arrivo a Rieti

E anche il capoluogo non è stato da meno nel manifestare intensa devozione verso la Madre di Cristo, nonostante nel periodo estivo la città, al contrario dei paesi, si svuoti di presenze. Ma sin dal primo pomeriggio erano radunati in tanti, nella chiesa dedicata alla Regina della Pace, non solo parrocchiani, ma fedeli provenienti da tutta la città e anche dai paesi vicini.

Un legame tra Fatima e Lourdes

È pienissima la parrocchia di piazza Matteocci – tra i numerosi presenti, anche una rappresentanza di malati e volontari dell’Unitalsi, che erano intervenuti anche a Leonessa e non sono voluti mancare a questo momento di legame spirituale col santuario di Fatima, assieme a Lourdes meta cara ai pellegrinaggi unitalsiani – e quando l’effigie mariana, accolta dal vescovo sulla piazza antistante, issata sul supporto addobbato di fiori condotto dai membri della confraternita leonessana del Suffragio, fa il suo ingresso nell’aula liturgica un forte applauso la saluta.

Sante reliquie

Prima di leggere la preghiera di accoglienza, monsignor Pompili pone la corona sul capo e il Rosario (dono di san Giovanni Paolo II) tra le mani della statua, poi esposta sull’apposito piedistallo assieme all’urna che contiene le reliquie dei due santi veggenti Francisco (di cui cade quest’anno il centenario della morte) e Giacinta Marto.

Superare la cupidigia

La Messa domenicale, con le letture che esaltano il senso pieno della vita distaccato dalla vanità dei beni materiali, offre lo spunto all’omelia di monsignore, che parte dal proverbio popolare «La roba dell’avaro se la mangia lo scialacquatore» per richiamare l’avvertimento di Gesù sulla stoltezza del confidare nelle umane ricchezze. Un’espressione, precisa don Domenico, che «non vuole indurre al disfattismo, ma vuole farci persuasi della legge della “relatività”, non il teorema di Einstein, ma la relazione che c’è tra l’inizio e la fine, tra la vita e la morte: se uno tiene insieme questi due aspetti riesce sicuramente a non farsi prendere da quella compulsione di possedere, di consumare, di accumulare, perché tutto è relativo, cioè passeggero e per nulla sicuro».
Una saggezza che ci aiuta «a vivere la nostra esistenza senza lasciarci assuefare dal possedere, da quello che Gesù chiama la cupidigia». Raccontando la parabola dell’uomo stolto confuso dalla sua grande ricchezza che la notte stessa morendo dovrà lasciare, Gesù, ha proseguito Pompili, non vuole spaventarci, ma «aiutarci a prendere le distanze da questa smania che ci prende tutti e imparare a distinguere ciò che è necessario da ciò che è superfluo: abbiamo smarrito questa distinzione, mentre dobbiamo ritrovare questa capacità, anche per rispetto alla Terra su cui siamo provvisoriamente collocati: come dice quel famoso proverbio degli indiani d’America, la Terra “non l’abbiamo ricevuta dai nostri padri, ma l’abbiamo in prestito dai nostri figli”».

Attenzione e concretezza

E in questo «Maria che cosa aggiunge alle parole del Figlio?». In realtà, sottolinea il vescovo, Maria nei Vangeli «dice pochissime parole ma lascia intendere una grande attenzione verso tutto ciò che sta attorno a lei, come nel celebre episodio delle nozze di Cana, quando è lei che si accorge del problema, quasi strattona il Figlio perché si decida ad agire e chiama in causa gli inservienti dicendo “fate quello che egli vi dirà”. Maria è una donna particolarmente sobria, che però ha vissuto la sua vita con grande attenzione verso tutto ciò che le stava intorno».

Le cose di lassù

E allora un augurio: «La devozione autentica a Maria deve farci riprodurre il suo modo di stare al mondo: un modo di grande concretezza e attenzione alle necessità degli altri. I beni sono sempre beni, ma servono per essere condivisi. Dell’immagine della Madonna di Fatima mi colpisce quel suo sguardo pudico, rivolto verso il basso: ci dice in che modo dobbiamo intendere l’appello dell’apostolo Paolo a cercare “le cose di lassù”», ha concluso don Domenico, in riferimento alla seconda lettura della liturgia domenicale. «Le cose di “lassù” si cercano “quaggiù”, esattamente come fa Maria che guarda in basso, non sta con la testa per aria, ma lo fa con la sua squisita sensibilità. Preghiamo perché ci rendiamo conto che quanto più siamo vicini tanto più siamo prossimi gli altri. Questa è la strada per trasformare l’insensatezza della cupidigia nella saggezza della condivisione».

Parole e riti

Con questi sentimenti viene vissuta la solenne Eucarestia, animata dalla ospitante comunità parrocchiale, che Pompili concelebra con il confratello Lorenzo Chiarinelli (“parrocchiano” del quartiere per abitazione), i parroci di Regina Pacis don Ferdinando Tiburzi e di Leonessa padre Orazio Renzetti, il vicario generale della diocesi di Sabina-Poggio Mirteto don Paolo Gilardi e altri sacerdoti e diaconi (ci sono anche i Religiosi della fraternità dei Figli del Divino Amore, nata a Medjugorje e presenti nella diocesi di Palestrina). Al termine, il solenne atto di affidamento a Maria, ripetendo quella consacrazione dell’Italia al suo Cuore Immacolato che sessant’anni i vescovi italiani con il papa Pio XII vollero compiere in occasione del XVI Congresso eucaristico nazionale di Catania, avvenimento che venne preparato da una grandiosa peregrinatio Mariæ che in cinque mesi raggiunse oltre cento città italiane. E prima della benedizione finale, viene data lettura del messaggio con cui il cardinale Antonio Marto, vescovo di Leiria-Fatima, ha voluto unirsi spiritualmente alla celebrazione di chiusura del pellegrinaggio.

Terminata la Messa, si snoda la piccola processione attorno al complesso parrocchiale, con cui i presenti accompagnano la venerata effigie mariana fino al cortile in cui viene ricaricata sul furgoncino per essere ricondotta al santuario portoghese.