«Concentriamoci su ciò che è più importante, non l'immediato ma il futuro eterno»

Venerdì della XXXI per annum
(Rom 15, 14-21; Lc 16, 1-8)

“Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. La celebre figura dell’amministratore disonesto che il Maestro tratteggia nella sua parabola non è un eroe negativo, una caricatura della malvagità, di cui sembra perfino tessere l’elogio. In realtà, è … il nostro ritratto. Ognuno di noi è un amministratore. Se non altro della propria vita e, spesso, anche di quella degli altri. Amministrare significa non disporre in proprio, ma semplicemente servire ad un compito che ha altrove il suo padrone. Può sembrare riduttivo, ma è così.  
Il problema è che spesso dimentichiamo questa verità. Ci pensiamo immortali e consideriamo tutto a nostra disposizione permanente. L’arretramento della morte porta con sé una certa immaturità adolescenziale che consiste nel permanere a lungo nella fase dell’onnipotenza infantile, il mettere radici nella volontà di non voler divenire adulti e il ritrarsi in una dimensione egocentrica di ripiegamento su di sé. Al ‘tutto è vanità’ si sostituisce il ‘tutto è gioco’ e la sindrome di Peter Pan straripa al punto che la preoccupazione per chi non ha fame e ha un lavoro è sfuggire la noia, giocando a passare il tempo.
Non sorprende la logica dell’amministratore disonesto che quando suo malgrado si accorge di non essere il padrone della situazione adotta una exit strategy che lo rende piacevole con i suoi interlocutori, cui dimezza il debito, e sleale nei confronti del padrone. Visto a distanza questo modo di agire sembra furbo, ma in fondo è stupido perché alla fine viene tanato. A pensarci è anche in questo caso il nostro comportamento, più di quanto pensiamo. Non ci preoccupiamo delle conseguenze del nostro agire e valutiamo tutto solo in termini di profitto immediato, senza darci cura se non della sicurezza materiale. La morte è invece lì a ricordarci che il nostro sguardo deve essere più lungimirante se non vogliamo vivere con l’incubo di essere prima o poi sorpresi.
Ma Gesù sembra lodare quell’amministratore disonesto. Le cose stanno proprio così? In realtà, il Maestro non loda l’inganno, ma la sveltezza nel trarsi di impaccio. Gli studenti peggiori sono quelli che imparano le cose a memoria senza afferrare il concetto centrale e importante. Non facciamo come loro: concentriamoci su ciò che è più importante, non l’immediato ma il futuro eterno. “I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce”. Come dire che ci si dà pena per le cose materiali è più determinato ed efficiente di chi deve darsi pensiero della salvezza eterna.
Il dolore che ci accomuna tutti per la morte improvvisa di una persona cara, di un affetto importante, di un amore decisivo ci aiuti a ritrovare la scaltrezza di trovare una soluzione al problema della vita. Da questo punto di vista la morte che resta una domanda insuperabile diventa l’antidoto ad una immaturità che ci fa perdere il senso della realtà e della responsabilità.
Paolo scrivendo ai cristiani di Roma si vanta di aver annunciato il Vangelo di Gesù Cristo. La buona notizia è che la vita è più forte della morte. Come dimostra la vicenda del Maestro. Lasciamoci consolare da questa certezza che è la speranza che non delude.