Celebrazione penitenziale in Sant’Agostino: la misericordia di Dio supera l’umana indegnità

Una richiesta di perdono “identificandosi” tutti con Giona. È l’invito proposto da monsignor Pompili per un esame di coscienza ai tanti fedeli di Sant’Agostino, Santa Maria in Cattedrale e Santa Lucia, radunati insieme per la celebrazione penitenziale svoltasi nella Basilica agostiniana di piazza Mazzini.

Nel celebrare in modo comunitario il sacramento della Riconciliazione, prima di accostarsi al sacerdote confessore per l’accusa individuale (una decina i presbiteri pronti ad ascoltare e poi assolvere i singoli penitenti), è toccato al vescovo Domenico, che presiedeva la liturgia, proporre una riflessione per aprire il cuore partendo dall’ascolto della Parola di Gesù: “Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona”. La generazione malvagia a cui si riferisce Gesù non è solo il popolo di Israele, ma già quello dei cristiani. Il Maestro, quindi , non intende opporre i credenti ai pagani, ma oppone, all’interno della Chiesa stessa, due atteggiamenti tipici

Una “generazione malvagia” in cui è facile riconoscersi: «Ci sono quelli che “ascoltano e custodiscono la Parola” e quelli che “cercano un segno” perché non si accontentano dell’unico segno sufficiente che è il Cristo e questi “crocifisso”». Ma anche il rimando che il Cristo fa al profeta Giona, la cui storia è in realtà una lunga parabola che offre un insegnamento preciso basandosi su un personaggio “paradigmatico”, monsignore ha voluto richiamarlo invitando a vedere in lui ciascuno di noi. Come ai tempi di Gesù vi si potevano identificare «tutti gli uomini religiosi che dopo l’esilio si radunarono attorno al tempio di Gerusalemme, che nutrivano sentimenti nazionalisti e disprezzavano i popoli stranieri», parallelamente oggi possono identificarsi in Giona, ha detto il vescovo, «tutti quei cristiani che guardano i non credenti dall’alto in basso e in cuor loro desistono dall’andare incontro a loro per convertirli».

Tre gli aspetti di cui i “Giona di oggi” sono invitati a considerare, guardandosi dentro e chiedendo perdono circa l’infedeltà del seguire ciò che sarebbe giusto. Cominciando da quella missione di cui ogni cristiano deve sentirsi investito e «che rischia oggi di essere appannata da una serie di cautele, di polemiche interne, di frustrazioni che chiude chi crede dentro le mura della propria parrocchia, del proprio gruppo, della propria ricerca religiosa». Un po’ come Giona che tentava di evitare di andare a Ninive a proclamare la verità di Dio, così i credenti di oggi dovrebbero saper riconoscere  «che siamo immobili nelle nostre idee preconcette, nei nostri luoghi comuni, nelle nostre convinzioni ataviche»: quella tendenza a dire “abbiamo fatto sempre così” che blocca ogni possibile cambiamento.

Ma c’è pure «il kerigma che consiste nella morte e resurrezione di Cristo, cioè nella sua crocifissione che genera la vita», quell’unico “segno” importante che egli stesso invita a tenere in considerazione. Perché ridurre la fede, e in suo annuncio, «a una pratica o a una ideologia sono le due derive di oggi» e così finisce che «la fede non passa».

Terzo atteggiamento da considerare: «l’obbedienza critica a quelli di fuori cioè la sorpresa di scoprire che c’è tanta gente che sarebbe pronta a cambiare se avesse la possibilità di un contatto, di una vicinanza, di una forma di prossimità»: sicuri di avere in questo la coscienza davvero a posto?

I confessori attendevano, spalancando la misericordia di Dio che supera l’umana indegnità.