Attraversando il buio della notte insieme: la luce imprevedibile della veglia di Pasqua

«Ciò che fa credere è la croce, ma ciò in cui crediamo è la vittoria della croce» (Pascal)

«È difficile attraversare la notte da svegli. Non solo quando si è malati, le tenebre allungano le ombre e accrescono le paure. Per questo i cristiani hanno imparato ad attraversare il buio della notte insieme». È con queste parole che il vescovo Domenico ha indicato il senso della veglia pasquale e dei suoi riti. Il fuoco, l’accensione del cero, la fiamma che passa alle candele dei fedeli: tutti segni della luce che diventano «metafora della vittoria della vita sulla morte».

Una vittoria affermata dall’Exsultet, che padre Ezio Casella ha cantato srotolando dall’ambone il rotolo miniato da suor Anna Maria Giaconia. Così è arrivato all’assemblea l’annuncio della risurrezione di Cristo e l’invito a gioire per il compiersi della profezia del mistero pasquale.

Una contesa tra tenebre e luce propria del cristiano, ma anche un’attesa che appartiene più in generale all’uomo. «Del resto – ha spiegato mons Pompili – anche ai nostri giorni esistono veglie “laiche” che esprimono la stessa tensione. Non è forse da interpretare così la frenesia di chi fa tardi fino all’alba come tanti al sabato notte?»

Non a caso nel racconto di Luca è all’alba che le donne «trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro e, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù»: dopo aver attraversato tutta la notte in ansia per il dolore del Maestro scomparso dopo immani sofferenze, «si ritrovano spiazzate da questo fatto che sprigiona una luce imprevedibile».

Imprevedibile perché figlia di un paradosso: «perché la luce sia splendente, ci deve essere l’oscurità». Una lezione preziosa per un’epoca che pare fuggire tanto la luce quanto il buio. Cioè di esporsi alla realtà. Un tratto che si riconosce nell’abitudine all’inquinamento ottico in cui siamo immersi, che «ci impedisce di accorgerci del buio, ma anche delle stelle», ma anche nel ricorso agli occhiali non tanto in «ossequio alla moda», ma per un «inconfessato desiderio» di nascondimento.

Ma la realtà ha sempre il sopravvento e «la Pasqua non nasce certo da noi». Anche «le donne consapevolmente non si aspettavano più nulla. Ma inconsapevolmente erano spinte dall’amore per Gesù». È l’amore il motore della risurrezione: le donne hanno custodito le parole di Gesù «perché le amano» e anche in noi «vive solo ciò che ci sta a cuore, vive a lungo ciò che è molto amato, vive per sempre ciò che vale più della vita».