Amore è andare verso l’Altro e verso l’Alto

Anche se a causa delle restrizioni conseguenti la pandemia durante la celebrazione della Messa nella Cena del Signore è stata omessa l’azione della lavanda dei piedi, è su questo gesto compiuto da Gesù che il vescovo Domenico si è soffermato per approfondire il percorso della Passione del Signore. Notando che il racconto di Giovanni allude senz’altro alla kenosis di Dio che si è fatto uomo, ma soffermandosi soprattutto sulla relazione che il segno suscita tra il Maestro e Pietro. Perché «Il discepolo vorrebbe lavare lui i piedi al Maestro», e invece «il nocciolo della questione è lasciarsi lavare: credere, cioè che sia Dio a fare ciò che è necessario e sufficiente nella vita».

In questo i piedi assumono un valore simbolico molto forte: «perché dicono chi siamo, i piedi non mentono», ma anche per dire che «Dio interviene proprio là dove c’è più bisogno, nelle parti più scabrose e più nascoste della nostra esistenza».

Il gesto di Gesù, dunque, non dice di un exemplum, ma di un sacramentum, «cioè un segno da decifrare». Denudato come uno schiavo, inginocchiato ai piedi dei suoi, Gesù dice che «l’amore cristiano non è fatto di grandi sentimenti, non si nutre di eros o di passione, ma è un lavoro su di sé prima di essere un lavoro verso l’altro. Io lavo i piedi a te se non mi faccio prendere dalla paura e dall’arroganza e ti accolgo per quello che sei».

E poi la lavanda non è solo un fatto rituale, ma qualcosa di reale, che accade anche adesso: «Ci sono uomini e donne che stanno lavando i piedi, o le parti intime del corpo, a malati e a malate che non riescono più a farlo da sé; ci sono genitori che lavano i figli handicappati, ci sono figli che lavano gli anziani genitori. È una reciprocità che commuove e deve farci comprendere che la legge della vita è questa cura reciproca che va in entrambe le direzioni».

La lavanda, ha spiegato in conclusione il vescovo, «‘purifica’ il nostro sguardo su Dio e ci fa comprendere il primato della grazia rispetto alla nostra autosufficienza. E allo stesso tempo ci fa crescere in quel senso di reciproca appartenenza in cui prendersi cura gli uni degli altri. In una parola ci libera da quel mito dell’autosufficienza che porta a chiuderci agli altri e a Dio. Secondo Platone Eros è figlio di Poros (ricchezza) e Penia (povertà). Per questo è un andare verso l’Altro e verso l’Alto».