«Ai crocicchi delle strade»: la Chiesa di Rieti festeggia Marcello, il suo nuovo diacono

Né il virus (che ha impedito a diversi conterranei della sua diocesi di origine di venire a Rieti come avrebbero voluto), né la giornata piovigginosa (che non ha consentito di svolgere all’aperto la celebrazione come inizialmente previsto) sono riusciti a rovinare la festa a Marcello Imparato in quella che è stata una tappa importante del suo percorso vocazionale: l’ordinazione diaconale. Un clima di affetto ha circondato il seminarista campano che in terra reatina era giunto per lavoro e che qui ha maturato la vocazione al sacerdozio, entrando fra i candidati all’ordine sacro di questa che è divenuta la sua Chiesa “adottiva”.

Così il pomeriggio domenicale ha radunato all’interno della Cattedrale i familiari giunti dal paese nativo in diocesi di Sessa Aurunca assieme a diversi reatini, fra cui i parrocchiani di Vazia – in testa il parroco don Zdenek, cui è toccato, nell’apposito momento del rito, presentare Marcello rispondendo al vescovo circa il suo essere idoneo ad accedere all’ordine del diaconato – che è la comunità in cui Marcello svolge da un paio di anni il tirocinio pastorale, vari fedeli di Petrella Salto e dintorni, che col parroco don Felice hanno accompagnato il suo passaggio dal lavoro di farmacista in paese all’ingresso in seminario, e altri ancora. Non mancavano ovviamente i ministranti che, sotto la sua guida di cerimoniere, sono soliti svolgere servizio liturgico nelle celebrazioni vescovili, e che erano presenti al completo nel servire all’altare in questa liturgia in cui stavolta Marcello si trovava a pronunciare l’impegno di servire il Signore nel sacramento dell’ordine, per ora nel primo gradino che è il diaconato. Né mancava il coro diocesano, per l’occasione rimpolpato anche dai cantori della parrocchia di Vazia, ad animare la solenne celebrazione.

C’erano anche, oltre a vari sacerdoti del clero reatino, alcuni diaconi che con Marcello condividono il cammino formativo nel Seminario regionale di Assisi: anche loro in cammino verso il sacerdozio, nel frattempo chiamati per un periodo a esercitare il ministero che, anche nel nome, richiama il senso del farsi servi.

Come quei servi della parabola delle nozze che, nel brano evangelico proclamato nella liturgia domenicale, ha offerto al vescovo Domenico, prima di imporre le mani sull’ordinando, lo spunto per richiamare nell’omelia il senso profondo del servizio. Quei servi mandati dal re a chiamare gli invitati alle nozze del suo figlio, facendosi dunque strumenti di quella chiamata di Dio a far parte della sua Chiesa. Una chiamata insistente ma che richiede una libera adesione, ha precisato monsignor Pompili. Dio «chiama continuamente e non una volta soltanto. Anche in questa pandemia chiama a ripensare l’esistenza: salute, educazione, lavoro. E ancora di più chiama in ogni stagione, da ragazzi e anche da anziani».

Come capitato a Marcello, che la chiamata a una vita da spendere tutta per lui l’ha avuta in età adulta. E che ora, aspettando di diventare prete, per un po’ dovrà esercitare il diaconato, facendosi servo come quelli, ha concluso don Domenico, «che sono inviati ad andare “ai crocicchi delle strade“». “Ai crocicchi” per toccare la realtà e non starsene a debita distanza. Ciò vuol dire muoversi e non attendere, inventare e non deprecare, sporcarsi le mani e non immunizzarsi dal contatto con gli altri. Ce la farai caro Marcello, se sulle tue labbra fiorirà la parola di Paolo: “Tutto posso in colui che mi dà forza”».