A un anno dal terremoto. Il vescovo: «Far riemergere la fiducia e la speranza è quanto di più necessario»

Mons. Pompili, la  politica faccia passo indietro: «Per ricostruire serve lavoro istituzioni, non intestarsi merito»

(Ansa – Fausto Gasparroni) «Il rischio per la ricostruzione deriva dall’effetto del meccanismo comunicativo: c’è sempre bisogno di intestare a uno o ad un altro il merito e il risultato. Invece la ricostruzione è un gioco di squadra. Prima viene l’istituzione, la politica è solo un tramite. Occorre quindi che le istituzioni, con i loro compiti, facciano un passo avanti e la politica faccia un passo indietro. La caciara per intestarsi i risultati è improduttiva, anzi dannosa». Il vescovo di Rieti, monsignor Domenico Pompili, a un anno dal terremoto che squarciò il cuore dell’Italia, ribadisce all’Ansa il concetto che in altre forme espresse nella messa funebre ad Amatrice, quando fece appello a che la ricostruzione non venisse intralciata dalla «querelle politica» o da «interessi diversi».

C’è anche il problema della burocrazia? «Le istituzioni devono sempre misurarsi con la burocrazia, che in tempi normali è un problema tipicamente italiano, in tempi di emergenza è ancora più inaccettabile. La burocrazia più che un problema pratico è una questione mentale, funzionale al rimpallo delle responsabilità: paura di esporsi in prima persona, rimandare la responsabilità sempre ad altri, con nessuno che si espone e quindi se qualcosa non va non c’è mai il responsabile. Non può essere la burocrazia la misura del post-terremoto. Bisogna velocizzare, pur nel rispetto della legalità: alle istituzioni si chiedono percorsi più veloci per realizzare gli interventi». L’altro grido che lanciò nell’omelia funebre fu che «non è il terremoto che uccide, ma le opere dell’uomo». «Resta quello che è stato detto», risponde. «Di fronte a questa tragedia non bisogna pensare a capri espiatori come la natura matrigna o a qualcosa di trascendentale, ma a che senso dare alla nostra responsabilità. Per ricostruire bene occorrerà quindi farlo in maniera ecosostenibile, fare attenzione alla qualità e alla sicurezza, con un appello alle istituzioni perché sia così»

Per le aree colpite c’è anche un rischio di spopolamento, di abbandono? «Il pericolo per i territori più esposti a difficoltà sismiche era già che fossero abbandonati da tempo e non più con una vita autosufficiente. Ora, se non si creano condizioni per il lavoro e la scuola, la tentazione dei residenti sarà di restare là dove si è stati ospitati. Quindi occorre dare priorità al lavoro e alla scuola, e aggiungerei anche alle infrastrutture, contro l’isolamento territoriale: queste devono essere zone dove passa il mondo, non dove il mondo finisce».

In questo anno si è sentita abbastanza solidarietà? «Sì, la solidarietà è stata davvero efficace, con una mobilitazione duratura. La gente ha avuto un soprassalto di aiuti, sia le realtà private che i singoli. Il terremoto sicuramente non ha lasciato indifferenti. L’auspicio è che ora questo duri nel tempo. Gli aiuti sono serviti ad affrontare l’emergenza, come i vestiti e tutto quello che mancava nell’immediato, e anche per le necessità abitative e per le realtà economiche. C’è stata una solidarietà trasversale, da Nord a Sud. Di solidarietà finora ce n’è stata a sufficienza, ma l’unico auspicio è che continui anche nel medio periodo. Il post-terremoto sarà un processo non breve, possiamo prevedere un paio di lustri, quindi è necessario che non si abbandonino i bisogni di questi territori».

Che cosa ha lasciato la visita del Papa? «Il Papa ha lasciato un senso di grande vicinanza, tradotta in gesti semplici, fatta di cose concrete: le modalità della visita stessa, l’aver voluto incontrare i bambini e gli anziani. Non molte parole, vicinanza espressa con i gesti. Questo influenza anche le persone, preti e frati, che si avvicendano per la cura pastorale, anche nelle località più distanti: all’insegna di quanto fa il Papa, stare lì, stare vicino alle persone, aiutare nelle necessità materiali, poi quando questo è stato risolto rispondere anche al bisogno di preghiera e guardare alle esigenze di fede».

Di questo anno quali immagini le restano, in positivo e in negativo? «Più che immagini, una situazione, che poi è la stessa. Ci sono momenti in cui le persone sembrano riacquistare fiducia, speranza, e questi sono i momenti belli, che fanno pensare che la nostra vicinanza sia utile a sostenere la gente. Ci sono poi i momenti bui, del dolore, delle ferite, delle difficoltà quotidiane, magari anche banali, ma che finiscono per degenerare nella lamentela e far cadere nel fatalismo. Far riemergere quella fiducia e quella speranza è quanto di più necessario».