A sacerdoti, diaconi e religiosi l’invito del vescovo ad accrescere la fraternità

Si è svolto lo scorso giovedì, presso l’Oasi Gesù Bambino, l’incontro mensile del vescovo con il presbiterio.

Essere Chiesa è stare tutti sulla stessa barca: è stato questo il tema di fondo del consueto incontro del vescovo con i sacerdoti, i religiosi e i diaconi fissato nel terzo giovedì di ogni mese. Un appuntamento che il 16 febbraio si è svolto in chiave di raccordo tra gli uffici di curia, le zone pastorali e le parrocchie.

Il discorso è stato aperto, dopo il raccoglimento nella preghiera, dai responsabili dei tre settori di Carità, Evangelizzazione e Liturgia, cui ha fatto seguito un ricco dibattito. A fare la sintesi è stato mons Pompili. Nelle sue conclusioni, ha riconosciuto l’importanza del tirare fuori le ansie e le preoccupazioni, ma a patto di tenere sempre alto lo sguardo, di resistere a qualunque forma di depressione.

Un rischio sempre presente, forse aggravato dal terremoto, verso il quale il vescovo ha proposto l’antidoto della fraternità: un «pizzico di coesione» da trovare cercando di andare «al di là delle storie personali». Come a dire che non si può essere Chiesa tirando a campare, ciascuno per i fatti suoi, e non solo perché «non esiste il presbitero, ma il presbiterio», ma anche perché sarebbe cedere al «verbo dominante», all’idea che «ciascuno è misura di tutte le cose», alla deriva che rende incomunicabile la società odierna.

E se è vero che i preti e i diaconi vivono questa minaccia come tutti, è altrettanto vero che si può scampare il pericolo «stando sui fondamentali». Anche perché «frammenti di fraternità» non mancano: si tratta solo di crederci un po’ di più, di trovare «forme stabili in cui poterla sperimentare».

Ad esempio tornando all’ascolto della Parola. È in essa, infatti, che si trovano «le condizioni per avere un minimo comun denominatore», le soluzioni per «non essere come gli istrici, che più si avvicinano e più si pungono». E nella Parola si trova anche la chiave per resistere alle «prove del terremoto», che «mettono a repentaglio anche la nostra fede».

Ma una volta ricavata una comune missione dalla Parola quotidiana, occorre aumentare «la condivisione di vita». Che non vuol dire inventare «forme di vita comunitarie», ma «essere collaboratori», condividere il peso complessivo, sentire di appartenere anche a situazioni che vanno al di là della propria parrocchia. «Non si può appartenere a un presbiterio senza condividerne il peso, senza dedicare al proprio ministero la maggior parte del tempo» ha sottolineato il vescovo, ricordando ai presenti che la condivisione è il farsi carico dell’insieme, senza per questo venire meno al proprio specifico.

Un cammino che comprende anche «la condivisione delle risorse», l’invito a mettere insieme «quello che siamo, oltre a quello che abbiamo». Un atteggiamento che non prelude a una sorta di «conto unificato», ma conduce alla «logica della trasparenza», grazie alla quale è sempre chiaro quello che si fa e ciò di cui si dispone. Un modo per restituire la responsabilità che la Chiesa affida e ricorda a ciascuno di essere l’amministratore, e non il proprietario, delle diverse risorse.