24 ore per «tornare a Lui»

«Un modo per interrompere l’abituale travaglio di ogni giorno e ribadire che fuori di Dio siamo soli». È questa l’indicazione delle 24 ore per il Signore: un momento privilegiato del cammino quaresimale vissuto in Cattedrale a Rieti, come in tante altre chiese del mondo.

Lo ha spiegato il vescovo Domenico durante la messa di apertura della manifestazione, ricordando che all’uomo «non bastano le alleanze umane, né il frutto della tecnica, né tanto meno la serie degli idoli cui sacrifichiamo la nostra libertà e che sono il piacere, l’avere, il potere. Occorre ritornare a Lui per superare la condizione della nostra orfanezza, che ci rende così intrattabili, intolleranti, insicuri».

Un ragionamento che ha visto mons Pompili cogliere una contraddizione profonda della nostra generazione: «così tronfia dei propri successi è allo stesso tempo così fragile». Infatti, «in nome della libertà sentiamo di doverci affrancare da tutto e poi ci ritroviamo puntualmente dipendenti da tutti. Mai le dipendenze hanno avuto un controllo così diffuso: droghe, alcool, ludopatia, videopatia, internetpatia. Non siamo liberi e ci costruiamo ogni giorno nuove forme di schiavitù che ci inibiscono, rendendoci soli ed isolati».

L’adorazione eucaristica continuativa, che vede alternarsi nella Basilica Cattedrale, tra la serata del 24 e quella del 25 marzo, vari gruppi ecclesiali nell’animazione e tutti i fedeli che lo desidereranno nella preghiera è quindi un «tornare a Lui», un rimettere al centro Dio.

Il passaggio non è astratto o simbolico, ma concreto. «L’adorazione – ha sottolineato mons Pompili – è esigente e rischia di avere momenti di fatica e di disorientamento, ma è necessaria come l’aria. Ci rimette a contatto con l’essenziale e ci fa riassaporare tutta l’esistenza».

Una dimensione possibile se si è disposti ad “ascoltare”. «Per vincere l’isolamento occorre tacere e aprirsi all’altro diverso da noi. Cioè, esporsi a Dio e al prossimo. Non che si tratti della stessa cosa – ha avvertito don Domenico – ma la radice di entrambe è la stessa: mettersi la mano alla bocca».

Esattamente la via indicata dalla silenziosa adorazione in corso in Cattedrale: una disponibilità all’apertura a Dio che fa sperimentare di non essere lontani da Lui.